Visto, si stampi!

 



F: E così, socio, pare proprio che ci siamo. Quando abbiamo cominciato a pensarci? 2013, 2014? È passato troppo tempo, non me lo ricordo più...

B: Che poi, se proprio vogliamo fare i pignoli, a pensarci abbiamo iniziato tanti e tanti anni prima... senza consapevolezza, ma più o meno laggiù negli universitari '90...

F: Già. Quando ci siamo accorti di cosa volesse dire studiarla sul serio, la storia. Quando ci hanno spiegato che a un certo punto Adolf Hitler, nell'estate del '41, commette un errore decisivo. Un errore senza il quale forse le cose avrebbero preso una piega diversa. Nessuno dei due aveva mai sentito la parola "ucronia", ma già allora ci eravamo detti: e se qualcuno avesse potuto impedire quell'errore? Hai ragione, è nato tutto da lì... ma l'idea è rimasta una chiacchiera da aperitivo almeno fino al 2014, quando cominciavamo a chiederci che cosa fare dopo Quando Arbitro Fischia.

B: Domanda che è rimasta prudente nei nostri cassetti per molti anni, cedendo il passo ad altri romanzi: di formazione, goliardici, politici... Infine quella domanda è saltata fuori di nuovo e non abbiamo potuto ignorarla. Cosa sarebbe accaduto se Hitler... Era la domanda delle domande. Il "what if" che si sono fatti in tanti. Storici e non. La risposta in fondo non era neppure difficile, ciò che si è rivelato maledettamente complicato è stato tutto il resto! Costruire un meccanismo per lo meno plausibile che ci facesse arrivare a quell'estate del 1941. Tanti aperitivi abbiamo scolato, in verità.

F: Ne servivano parecchi... Scavare nel passato per costruire un mondo documentato e credibile, e calarci dentro questa idea folle. Poi intrecciarlo con due storie contemporanee e parallele, per sviluppare una cosa che è per metà romanzo storico e per metà ucronia nazista, con una spruzzatina di fantascienza. A volte mi chiedo come abbiamo fatto ad arrivarci in fondo... potenza dei Franciacorta, indubbiamente.

B: E i personaggi? Mica solo i principali eh. Tutti gli altri. Rileggendolo, però, ne viene fuori un bello spaccato dei primi decenni del Novecento. Bello è stato anche lavorare sulle fonti: una, poi, in particolare molto utile e assolutamente non banale. Comunque, tornando alla tua domanda inziale: quando abbiamo cominciato a pensarci? Se non ricordo male una volta pubblicato Quando Arbitro fischia. Mese più, mese meno. Ricordo una tua mail inviata se non il 1° gennaio forse addirittura la notte del 31 dicembre del 2013...

F: Sì, le prime pensate risalgono ad allora. Poi c'è voluto un po' per iniziare a lavorarci sul serio, comunque sono stati almeno cinque anni di lavoro. Passati fra accelerate e frenate, entusiasmi e dubbi. E non poche pause, anche lunghe. Come fai a spiegare che cosa significa portare avanti un progetto così, per così tanto tempo, mentre la vita ti scorre intorno? Un progetto che se ne sta sempre lì, in un angolo della coscienza, a guardare i capelli che cadono e i chili che aumentano. Oggi ti stimola e domani ti opprime, oggi ti spinge e domani ti abbatte. Il viaggio di un romanzo - e con un romanzo - può essere molto, molto lungo. E non è sempre un compagno di strada facile...

B: Proprio a me lo vieni a dire? Ci sono certe pagine di questo romanzo che faccio fatica a leggere senza che mi assalga l'angoscia vissuta nei mesi durante i quali le abbiamo pensate, scritte, cancellate, riscritte, cancellate di nuovo e riscritte ancora e ancora e ancora. Ci sono stati certi momenti durante i quali guardavo il faldone degli appunti di lavoro sulla mia scrivania e mi sentivo male fisicamente: male perché non riuscivo a rispettare i tempi, male perché non riuscivo a concedere a questo progetto il giusto spazio e la dovuta attenzione, male perché i personaggi se ne andavo per i fatti loro. Mi sentivo male perché non riuscivo a tradurre su carta ciò che avevo chiaro in testa. D'altra parte, però, è stato un viaggio da ricordare, un viaggio pieno anche di belle emozioni, di soddisfazioni e di condivisioni che solo la scrittura a quattro mani può regalare. Come ogni viaggio che ti lascia dentro qualcosa di vero, che quando termina ti guardi indietro e ti scopri, anche se di poco, cambiato.

F: Anche questo è abbastanza difficile da spiegare. Uno potrebbe dire: ma dov'è la difficoltà? Sai cosa devi scrivere, sai scrivere... scrivilo. Magari fosse così semplice. Cioè, forse per qualche fortunato va così, ma di certo non per noi. Scrivere significa creare un mondo, dargli vita, ma finché non lo vedi non puoi raccontarlo. E per vederlo, per maneggiarlo abbastanza da poterlo scrivere, c'è da sudare parecchio. Poi, quando finalmente inizi a scrivere, spesso quel mondo ti cambia fra le dita, e a volte scivola via come sabbia...  Il viaggio comunque è tutt'altro che finito. Anzi, in un certo senso inizia adesso. O meglio, inizierà il 1 luglio, quando Klaus sarà in libreria e dovrà camminare sulle sue gambe, e soprattutto su quelle di chi avrà la bontà di leggerlo. Ma a proposito, secondo te chi ha letto queste righe ci ha capito qualcosa? Gli sarà venuta voglia di conoscere Klaus e vedere all'opera Hitler e tutti i suoi uomini?

B: Beh, a questo non so risponderti, spero comunque di sì! Se non altro per vedere come abbiamo cercato di rispondere alla domanda iniziale. 

F: C'è sicuramente un'ucronia nella quale Klaus sarà letto da milioni di persone e ne verrà tratto un film con George Clooney... resta solo da vedere a quanti universi di distanza sia. Buona lettura!


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