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Visualizzazione dei post da aprile, 2021

Marina al tramonto

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  Giovanni Fattori , 1890-1895, olio su tavola, dim. cm 19 x 33, Firenze, Galleria nazionale d'Arte Moderna   Musica:  Folaghe , Fabrizio De Andrè Come profuma questo mare, come si stende il velo del tramonto su questa immensità di sale nelle narici e tra i capelli. Il vento mi svuota i polmoni dell’aria e dei ricordi, ed è come se una vita intera mi piangesse addosso la sua voglia di tornare. Ma non tornerà. Non tornerà il sorriso beffardo sotto il naso di Luca in quella notte di birra e malvasia. Quelle due lacrime sciocche di pentimento sanno ancora d’alcool e malinconia, le sento sulla lingua e fra le tempie. Non avresti dovuto permetterlo, amico mio. Non avresti dovuto lasciare che i suoi riccioli scuri ti nascondessero così al mio futuro. Ma era mia moglie, in fondo, e non seppi mai più guardarla nella luce chiara dell’amore eterno. Non ho più guardato nemmeno te, chissà se la mia mano ha cambiato per sempre le ombre leggere di barba sul tuo mento. Non tornerai più, Lucia, no

I bambini si tagliano (Autotune di un walzer)

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I bambini si tagliano di giorno, mentre gli adulti dai social socializzano vomitandosi il nulla rabbioso che hanno dentro. Si tagliano blindati al di qua dei sogni, sgranocchiando pop-corn e bevendo le speranze dei coetanei parcheggiati nei lager al confine. I bambini si tagliano cantando 'Bella ciao' agli angoli del mare, sorridenti, dentro ai loro incubi dai quali genitori rispettosi fanno passi indietro e di lato, tra un cocktail party e un briefing in comfort rooms. Oh, oh, oh – oh, oh – oh, oh, oh I bambini si tagliano sul bagnasciuga di vecchi canali di scolo, giocando a lanciarsi vinili incisi con il suono dei padri che precipitano scaraventati giù dalla finestra. Si tagliano in volo tuffandosi dagli autobus verso l'isola promessa del dissing compulsivo, corrosi dalla paura di non essere già più ricordati. I bambini si tagliano mentre aspettano che i genitori reduci dal fronte della pandemia tornino a vivere riempiendo inutili giorni di rabbia, aperitivi e ri

Le parole della guerra

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Qualche settimana fa, in un post su Facebook (poi rimosso), Fabio Bonifacci si scagliava contro l'uso di certe metafore nel racconto della malattia. Quando uno muore non si "arrende" a niente, scriveva. Se guarisce non "sconfigge" nessuno, il decorso non è una "lotta", nessuno è un "guerriero". C'è un malato, c'è una cura, c'è la guarigione, a volte la morte. Punto. Il suo post aveva un obiettivo chiaro (denunciare l'insidioso ragionamento per il quale chi non ce la fa sia meno guerriero, più molle, più arrendevole) ma mi ha fatto pensare al profondo fastidio che provo ogni volta che sento usare il linguaggio bellico come serbatoio di metafore per ambiti che bellici non sono. La malattia è solo uno, forse il più blasfemo. Ma se penso al mondo del lavoro, mi trovo quotidianamente accerchiato da campagne, divisioni, reclutamento, addestramento, fino alle più colorite "war room", "task force", e via con gli in

La Tempesta

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GIORGIONE, La tempesta, 1507-1510, tela, cm 82X73. Venezia, Gallerie dell'Accademia.    Musica: Medieval Interlude - Martin Bertrand Il vento - sì - il vento sarà mio amico, sarà compagno di viaggio ingombrante e sicuro, e la pioggia laverà di dosso tutto il mio passato, che ancora mi appesantisce la speranza per il futuro. Sì cielo, piangi per me le tue lacrime, piangi per i tuoi figli lasciati nell'oblio di feste e conviviali, banchetti e orge. Voglio bagnarmi delle tue lacrime, cielo che per tanto ti ho pregato che ora ti bestemmio perché non so far altro. Perché non altro. Figlio non temere, la terra trema la sua paura, il cielo oscura la sua vergogna, mentre gli uomini - braccio di decisioni irrevocabili - ballano e cantano la voglia di dimenticare i nostri nomi, i nostri corpi che - per dio! - se hanno pronunciato e amato, ma che ora seppelliranno nelle loro coscienze sotto montagne di amori rubati ad altri momenti segreti. Sì figlio mio, nutriti dal mio corpo affinché u