With Or Without You


Per me With Or Without You non sono gli U2. Sono le tette di Elena. Sono quella consistenza e quella morbidezza sconosciute, appoggiate dolcemente sulla mia camicia leggera di quattordicenne, mentre le spalle e i fianchi dondolano incerti nei primi – e forse ultimi – passi di lento della mia vita.

Dalle note lunghissime e dolenti della chitarra di The Edge, da quel basso invadente, scendono ondate di caldo profumo e risale un’idea sconvolgente. Sei veramente in contatto. Niente di spirituale. Contatto fisico, attrito, materia, volume. Un mondo ignoto che si disvela.
La colpa è di Spotify, naturalmente, che mi spara la voce tormentata e precisa di Bono nell’abitacolo della macchina. Un breve viaggio nel primo buio di una sera invernale diventa un trapano che scava un buco nella memoria e fa uscire un raggio di luce colorata, dritto dritto dal 1987.
 
La festa delle medie non è un fatto determinato nel tempo. E’ una categoria dello spirito, un archetipo, ma questo Elio l’ha capito già molto tempo fa. Le tette di Elena sono patrimonio collettivo di una generazione, e chi ha avuto 14 anni tra gli 80 e i 90 sa bene di cosa parlo. Elena che in realtà era tutt’altro che il disinibito simbolo erotico che queste righe potrebbero far supporre. Elena che era una ragazzina piuttosto timida, riservata, per niente esuberante. Elena che però, quando arrivava la festa, aveva imparato prima di altre ad appoggiarsi. A concedere la compressione di quei venti centimetri di spazio che andavano dai gomiti piegati alle dita timidamente appoggiate sui fianchi di lei. Quel territorio fatto di imbarazzo, rispetto, timore. Lei, prima di altre, aveva capito di poter dominare quel territorio, facendone deflagrare il potenziale inaudito di aspettative e desiderio in pure sensazioni tattili. Aveva un seno generoso, consistente, vivo. Il timore che il battito del cuore potesse attraversare il sottile tessuto della tua camicia per diffondersi attraverso quella morbidezza era superato solo dalla preoccupazione di appoggiare il ventre a quei giovani fianchi dalla parte giusta. Perché la destra e la sinistra, a quelle altezze, significavano la differenza tra vivere un sogno e morire di vergogna.
 
Bono continua a cantare, e da quel foro nella memoria le luci che escono lampeggiano a tempo, come quelle psichedeliche montate con cura per tutto il pomeriggio nel garage di Marco. Qui si intromette John Bon Jovi, però. Gli acuti stravolgenti di Livin’ On A Prayer sono quelli del branco, affaccendato a traghettare l’amicizia dai sicuri porti dell’infanzia alle onde meravigliose e terribili dell’adolescenza. Una vita che non c’è più dilaga nell’abitacolo, annaspo nella violenza dei colori, dei profumi. Nella feroce speranza di tutte quelle possibilità.

È giunto il momento di fermarsi, di richiudere il buco. Perché c’è un limite alla sopportazione, e bisogna scrollare da questo petto l’impronta del seno di Elena. Nessuno si ferma ad aspettarti, mentre ascolti gli U2. Le cose vanno avanti, senza chiedere il permesso. With or without you.




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