Il Dado a canestro
“Qui giace Dado Lombardi,
voleva sempre vincere:
a volte c'è riuscito,
tante volte si è arrabbiato”
(Gianfranco “Dado” Lombardi)
Avevo in mano una pallina di carta, ora sto guardando quella stessa mano e la pallina non c'è più. Ma sono stato io? Cioè, davvero? Eppure. C'è il mio amico che mi sta guardando e ride come un deficiente e vedo che ha un popcorn incastrato nell'apparecchio dentale. Ciò che non vedo è che sono diventato rosso come la mia sciarpa e sudo davvero troppo con il berretto in testa.
Tutto attorno è il finimondo. Sembra la notte di San Lorenzo delle palline di carta, tante se ne stanno lanciando da ogni ordine di posti del Palazzetto.
Ehi ragazzino! Se devi lanciare qualcosa fallo bene! Mi canzona un tipo grosso più o meno il doppio di me mentre a sua volta sta appallottolando tutto il giornale. Beh, ragazzino lo vai poi a dire a tuo fratello! Ho dodici anni, io! Va bene, lo so cosa state pensando. Non gli ho detto nulla, l'ho solo pensato. È che dodici anni mica ce li ho ancora. Ne ho undici, almeno sino a domani. Cosa ci faccio al palazzetto senza mio padre vi state domandando? Dunque, intanto dentro al palazzetto credo che mio padre non abbia mai messo piede. Allo stadio ci vado con lui, al palazzetto no, solo con i miei amici. Prime esplorazioni adulte, insomma. Il Patte, Max e Raul. La domenica pomeriggio a vedere la Cantine Riunite sono loro la mia famiglia.
Il Patte aveva chiesto a suo padre di mettere un canestro in cortile. Era bello quel canestro, rosso fuoco e una retina bianca, lunga e tirata. Il Patte diceva RossoFerrari, ma è sempre stato fissato con le auto. Meglio se di lusso. Però era davvero bellissimo quel canestro. Tanto che il pallone quando ci entrava faceva quel suono – ciuff – che ti fermavi un paio di secondi per assaporarne sino in fondo l'eco, prima che il vento di certi pomeriggi di aprile se lo portasse via. Certo, il ciuff lo sentivamo davvero poche volte. Per lo più erano mattonate contro il muro, ma tanto bastava a farci passare pomeriggi interi. Il più dotato era Max, il più alto e il più grosso: nel basket, quello che conta badate bene, lui poi ci entrerà sul serio con una carriera tanto splendida quanto meritata.
Anyway. Era capitato che a Reggio Emilia, laggiù nella prima metà dei luccicanti '80, ci eravamo ubriacati di basket. Una sbronza che non vi dico! Tutta la città in quegli anni respirava pallacanestro e noi ragazzini al pomeriggio facevamo la posta davanti al palazzetto ad aspettare un autografo da Bouie che arrivava con la sua Mercedes modificata, o dal reggianissimo Piero Montecchi sul suo Ciao.
Domani dunque sarà il mio compleanno, il mio dodicesimo compleanno. Domani. Oggi ancora dentro Cantine Riunite contro Bancoroma. Noi matricola terribile della serie A1, loro i campioni d'Europa. Noi truppe con l'elmetto pronte a tutto pur di seguire il Dado Lombardi nella guerra senza prigionieri contro i campioni d'Europa, contro il Vate Valerio Bianchini. Si fa la storia su quel parquet, questa domenica. Il Dado: non poteva esserci personaggio più istrionico, più carismatico per far innamorare di basket tutta una città, laggiù nei facili '80. Il Dado sacerdote di una liturgia che ci ha visti fedeli, chierichetti, peccatori, pecorelle smaniose, confessori e confessati. Infine sopravvissuti.
Se le stanno urlando di santa ragione, il Dado e il Vate, face to face, heart to heart, mentre gli addetti al campo non riescono a raccogliere tutte le palline che stanno piovendo giù. Altro che notte di San Lorenzo, questo è un diluvio di carta! Towsend lo stanno medicando. Prima delle palline di carta probabilmente è volata anche una monetina. O una pila. Era un classico dei circensi '80 la monetina lanciata in campo. Nel basket come nel calcio. Altri tempi, decisamente. Come andò a finire, 36 anni fa, tutti lo sappiamo. Il Dado cacciato fuori, il Pala a spingere il plotoncino biancorosso verso una vittoria tanto carica di emozioni quanto arida di punti in classifica.
I ricordi fanno proprio capriole assurde.
Appena saputo che il Dado se ne è andato per sempre annaspo nei ricordi, in un rewind da togliere il fiato. Senza pensarci ho accartocciato una manciata di fogli, ne ho fatto una bella palla, grossa e resistente, ho preso la mira e l'ho lanciata dalla finestra, guardandola perdersi là fuori, nel cielo rosso di un inverno sottosopra.
Sopravvissuta, forse anche lei.
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