L' odore della palestra

 


La partita dei bambini è finita. Sciamano fuori, colorati e sghignazzanti. Dietro di loro, un codazzo di genitori si addentra nel caos di magliette, accappatoi e asciugacapelli appesi al muro. Lo spogliatoio, per almeno mezzora, sarà un girone dantesco. Nella palestra restiamo solo io e qualche altro parente, intento a scrutare il display del telefono. E’ un’anonima domenica pomeriggio, nessun altro allenamento o partita. C’è un silenzio polveroso e pieno di riverbero. Faccio qualche timido passo oltre la linea del campo da basket. Ho le scarpe pulite, nessuno mi arresterà per aver insozzato il sacro suolo ginnico. Avanzo piano fino al cesto dei palloni. Prendo il Mikasa giallo e blu, lo soppeso. Lo avvicino al volto. Lo annuso.

Ogni sport ha il suo odore. Anche se si svolgono nello stesso luogo, sugli stessi terreni. Sono abbastanza sicuro che il calcio e il rugby, così simili, abbiano odori diversi. Di certo la pallavolo non ha l’odore del basket. Non chiedetemi come si capisce la differenza, è così e basta. Se ti sei immerso per anni in quegli odori, mentre le pareti risuonavano di sbuffi e grida e schiaffi sul cuoio, li riconosci subito. Ecco, se mi chiedete cos’è che mi manca di più degli anni passati in campo e in panchina, è questo. E’ l’odore. Quel misto di sudore, polvere e cuoio.
Certo, mi mancano i movimenti, il suono di un pallone colpito bene, dritto al centro, la traiettoria curva e tesa di un palleggio spinto in banda. Mi mancano le sopracciglia corrugate di Giorgia prima di ogni battuta, il volto arrossato di Betty, il sorriso contagioso di Elisa. Mi manca la mano aperta di Marco, un istante prima di colpire da zona uno. Mi mancano i piccoli gesti nervosi di Luca tra un palleggio e l’altro, il salto leggero e potente di Davide, il muro composto di Willy. Mi mancano le urla bestiali dopo un muro vincente, le facce disperate dopo un attacco fuori di poco, gli abbracci sudati dopo una rimonta impossibile.

Tutto questo mi manca. Ma niente come l’odore della palestra vuota. Quando le ragazze erano ancora nello spogliatoio e io giravo schiaffeggiando un pallone, in testa l’allenamento che stava per iniziare. E alla fine, quando rimanevo con quello stesso pallone fra le mani, nelle orecchie il tonfo di centinaia di salti, migliaia di schiacciate, milioni di battiti di cuori adolescenti.
Narici impregnate di leggerezza e fatica. L’odore dell’impegno, del lavoro, della spietata verità distillata nello sport. L’odore degli altri, l’odore mio. Un unico, indistinto odore di vita.

Rimetto giù il pallone, respiro profondamente. Lo riprendo, lo lancio, rischio la cuffia dei rotatori colpendolo con tutta la forza che non ho più. Pavimento, muro, un arco gentile, e di nuovo in mano. Ci appoggio piano la fronte, prima di annusarlo un’ultima volta.

La doccia è finita, i bambini riversano ettolitri di presente su ogni ricordo possibile. Andiamo, è tempo di altri odori.

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