Nudo di donna davanti allo specchio

 


Henry De Toulouse Lautrec, 1897, Olio su cartone, 63x48 cm. - New York, Collezione Haupt


 Musica: Gymnopedie n.1 - Eric Satie

L’aria, all’esterno è tagliente, il grande freddo avvinghia la città; all’interno un tepore lieve riscalda le piccole stanze dell’appartamento.

Sei ancora bella, lo sai.

Sei desiderata, amata, e questo ti fa sentire bene, ti fa sentire viva.

Accarezzi lieve le tue gambe, ancora ben tornite, gradevoli al tatto: sorridi, compiaciuta di quella che sei, dei capelli corvini che scendono appena sulle tue spalle. Lo specchio, davanti a te, rimanda i tuoi seni, ancora l’oggetto dei desideri dei tanti uomini che hanno sognato e sognano di te.

Il biglietto da visita del tuo tempo.

Il pomeriggio ancora non vuole cedere il passo alla notte, c’è solo questo cielo cupo ad avvolgere il cemento della città. Illude il tempo, ripropone la stessa scena da sempre, ma da sempre sono i particolari a cambiare.

E cambiando fanno avanzare il tempo.

Ingannandoci in continuazione cerchiamo di correre più veloci che possiamo per poterlo distanziare, ma scappando il tempo ci raggiunge, perché lui corre più forte.

 

“Dimmi che mai ci lasceremo, che saremo per sempre l’uno per l’altra,

che lotteremo, ameremo ancora per noi, solo per noi due.

Dimmi che mai ti stancherai di abbracciare questo corpo,

che mai chiuderai le imposte per non far più entrare il sole,

che mai smetterai di far soffiare il vento del nostro amore.

Dimmi che lo farai, dimmelo, ed io ti seguirò ovunque tu vorrai.”

 

Sei bella, anche solo con quelle calze di lana.

Sei alta, slanciata, e la tua figura riesce a coprire quasi interamente lo spazio dello specchio, si vede solo un lembo del tuo letto e quel vestito: sono quasi le 17.00

Quante volte da adolescente ti sei fermata a contemplare il tuo corpo, prima di qualche appuntamento? Quante volte ti sei chiesta cosa sarebbe stato di te una volta persa la giovinezza, la bellezza? Eppure ora sei ancora lì, davanti ad uno specchio, e mentre ti perdi nei tuoi occhi scuri, riflessi splendenti di notti passate, sogni e di speranze future, una piccola lacrima esce, timida, senza preavviso. 

E allora lasciala libera di accarezzarti il viso: vedi, ora precipita delicata per cadere sul tuo seno (quanti uomini sono precipitati dai tuoi occhi al tuo seno?) e ancora giù, la pelle liscia la fa correre veloce fino a raggiungere il tuo tempo, la tua natura (quanti uomini si sono irrimediabilmente persi?) e sempre più giù, le cosce baciate dalla piccola lacrima (quanti uomini le hanno sfiorate e quanti solo desiderate?) e poi, a precipizio, verso il pavimento. E basta.

La piccola lacrima ora non c’è più, è rimasta solo un’esile scia, ma lei non c’è più, inseguita e raggiunta dal tempo. Anche lei.

Domani quel tuo corpo sarà diverso, di te che ne sarà?

Le lancette dell'orologio hanno corso in fretta con te davanti allo specchio: devi vestirti, hai promesso a tuo marito di andarlo a prendere in ufficio, è tardi. Ancora non piove. Ancora. Il traffico è sempre più intenso, quante automobili transiteranno sulle strade, quante piccole storie si porteranno via nel loro continuo trasportare di persone, ma mentre dalla cucina tuo figlio guarda la televisione, un sorriso sempre più convinto fa capolino sulle tue labbra. Sì, sei felice. E se anche fuori tra un po’ comincerà a piovere, tu non puoi far altro che ridere e ripeterti che sei felice. 

Felice di ciò che sei e di ciò che hai.


“Dimmi che ancora dobbiamo vivere la nostra stagione migliore,

che proveremo ancora il ridicolo timore di pronunciare i nostri nomi,

che mai la notte ci farà paura sorprendendoci soli.

Dimmi che vivremo per sempre insieme, dimmelo, e questa sarà la miglior vita che si possa desiderare”


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