La Tempesta
GIORGIONE, La tempesta, 1507-1510, tela, cm 82X73. Venezia, Gallerie dell'Accademia.
Musica: Medieval Interlude - Martin Bertrand
Il vento - sì - il vento sarà mio amico, sarà compagno di viaggio ingombrante e sicuro, e la pioggia laverà di dosso tutto il mio passato, che ancora mi appesantisce la speranza per il futuro.
Sì cielo, piangi per me le tue lacrime, piangi per i tuoi figli lasciati nell'oblio di feste e conviviali, banchetti e orge. Voglio bagnarmi delle tue lacrime, cielo che per tanto ti ho pregato che ora ti bestemmio perché non so far altro. Perché non altro.
Figlio non temere, la terra trema la sua paura, il cielo oscura la sua vergogna, mentre gli uomini - braccio di decisioni irrevocabili - ballano e cantano la voglia di dimenticare i nostri nomi, i nostri corpi che - per dio! - se hanno pronunciato e amato, ma che ora seppelliranno nelle loro coscienze sotto montagne di amori rubati ad altri momenti segreti.
Sì figlio mio, nutriti dal mio corpo affinché un giorno tu possa ritornare alla città che ora ti scaccia per il solo torto di essere nato da un padre che non può permettersi di averti a corte come figlio, ma solo come contadino. Perdona la sua vigliaccheria e la sua meschinità: non poteva sopportare di vederti rotolare nello sterco dei suoi porci, sentire le tue urla uscire dannate dalla sferza dei tuoi fratellastri, eredi preti puttane sante ma FIGLI della sua donna.
Tu, lampo, indicami la via per potermene andare da questa città, covo di serpi che hai così amorevolmente custodito e guidato secula seculorum, proteggimi, se lo vuoi, nel mio esulare tra campagne e città, foreste e pianure, e se non vorrai esaudire nemmeno questo mio ultimo desiderio di vita, allora limitati a trovarmi un grosso albero - scegli tu quale - per potermi ristorare alla sua ombra prima che la tua furia non faccia di me un altro fu nel mondo per peccare, giustamente fulminato dalla GIUSTIZIA giusta
Non salvare me, no, non merito che tu venga a me, mi basta sentire la pioggia rovente del tuo biasimo per capire di poter morire in pace. Non chiedo altro che la salvezza per quella povera fanciulla, lei sì ingiustamente condannata alla morte errante.
Null'altro ti chiedo, perché null'altro ho da chiederti.
Figlio è l'ora di mettersi in cammino. Non posso, perché non so, darti speranza alcuna, abbiamo solo questi stracci e noi per poterci difendere dalla cattiveria del mondo. Perdonami se ti ho portato qui, in questa follia, solo per dare alla mia carne il piacere di una notte tra lenzuola profumate, pane morbido, braccia forti e speranze poi svanite in un grido di piacere: perdona la mia debolezza, la mia voglia di vita. Perdona questa madre che ora ha perso tutto quel niente che aveva, ma che ora è qui a piangere lacrime - neanch'io so di cosa - per il regalo che il cielo ha voluto darmi e che ho qui, stretto al mio seno.
E tu cielo, tu solo sai se ho creduto in te solo perché non avevo abbastanza sfrontata pazzia da credere in me stessa, ti chiedo una sola cosa: aiuta quel giovine che ti bestemmia addosso tutta la sua voglia di vita. Solo questo ti chiedo.
E' ora di andare, sta per piovere.
Vieni figlio mio, ripariamoci tra la boscaglia: sta per piovere.
Sì cielo, piangi per me le tue lacrime, piangi per i tuoi figli lasciati nell'oblio di feste e conviviali, banchetti e orge. Voglio bagnarmi delle tue lacrime, cielo che per tanto ti ho pregato che ora ti bestemmio perché non so far altro. Perché non altro.
Figlio non temere, la terra trema la sua paura, il cielo oscura la sua vergogna, mentre gli uomini - braccio di decisioni irrevocabili - ballano e cantano la voglia di dimenticare i nostri nomi, i nostri corpi che - per dio! - se hanno pronunciato e amato, ma che ora seppelliranno nelle loro coscienze sotto montagne di amori rubati ad altri momenti segreti.
Sì figlio mio, nutriti dal mio corpo affinché un giorno tu possa ritornare alla città che ora ti scaccia per il solo torto di essere nato da un padre che non può permettersi di averti a corte come figlio, ma solo come contadino. Perdona la sua vigliaccheria e la sua meschinità: non poteva sopportare di vederti rotolare nello sterco dei suoi porci, sentire le tue urla uscire dannate dalla sferza dei tuoi fratellastri, eredi preti puttane sante ma FIGLI della sua donna.
Tu, lampo, indicami la via per potermene andare da questa città, covo di serpi che hai così amorevolmente custodito e guidato secula seculorum, proteggimi, se lo vuoi, nel mio esulare tra campagne e città, foreste e pianure, e se non vorrai esaudire nemmeno questo mio ultimo desiderio di vita, allora limitati a trovarmi un grosso albero - scegli tu quale - per potermi ristorare alla sua ombra prima che la tua furia non faccia di me un altro fu nel mondo per peccare, giustamente fulminato dalla GIUSTIZIA giusta
Non salvare me, no, non merito che tu venga a me, mi basta sentire la pioggia rovente del tuo biasimo per capire di poter morire in pace. Non chiedo altro che la salvezza per quella povera fanciulla, lei sì ingiustamente condannata alla morte errante.
Null'altro ti chiedo, perché null'altro ho da chiederti.
Figlio è l'ora di mettersi in cammino. Non posso, perché non so, darti speranza alcuna, abbiamo solo questi stracci e noi per poterci difendere dalla cattiveria del mondo. Perdonami se ti ho portato qui, in questa follia, solo per dare alla mia carne il piacere di una notte tra lenzuola profumate, pane morbido, braccia forti e speranze poi svanite in un grido di piacere: perdona la mia debolezza, la mia voglia di vita. Perdona questa madre che ora ha perso tutto quel niente che aveva, ma che ora è qui a piangere lacrime - neanch'io so di cosa - per il regalo che il cielo ha voluto darmi e che ho qui, stretto al mio seno.
E tu cielo, tu solo sai se ho creduto in te solo perché non avevo abbastanza sfrontata pazzia da credere in me stessa, ti chiedo una sola cosa: aiuta quel giovine che ti bestemmia addosso tutta la sua voglia di vita. Solo questo ti chiedo.
E' ora di andare, sta per piovere.
Vieni figlio mio, ripariamoci tra la boscaglia: sta per piovere.
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