Forse solo il tempo di un addio
Lei resta in silenzio mentre, lento, prendo coscienza di ciò che non voglio.
- Non c'è mai stato nulla...
La consapevolezza è ancora una ferita immobile, nell'aria. Non ho la forza di dare forma ad una frase di risposta. Lui mi guarda, in silenzio capisce le opzioni che danzano nella mia testa. L'impianto auricolare mi porta dritto nel cervello il ronzio dei generatori che stanno parecchi livelli al di sotto di dove ora ci troviamo. Il mio è un impianto di ultima generazione che da Hong Kong mi è arrivato al prezzo di una piccola fortuna.
Strano mondo davvero quello che pulsa elettrico in questa notte di lampi e presagi di temporali. Strano mondo che riparte e si ferma di nuovo, in un balletto sincopato su note che di musicale non hanno nulla.
È soltanto un brandello di consapevolezza: lo sposto nel cestino e ne distruggo il contenuto. Appena eseguo il comando mi rendo conto che forse ho commesso un errore. Quel brandello di passato credo sia una prima tessera di un mosaico. Ed è un mosaico che non vorrei mai vedere. Ho voglia di Nutella. Non lo dico. Sì: non c'è stato nulla. Prima o poi dovrò trovare anche questo coraggio. Di dirmela la verità, una volta per tutte.
- Tu hai pianto...
- Solo un po', me lo concederai...
Sento la risposta arrivare in leggera differita rispetto a quando la pronuncio. Forse questo aggeggio che mi sono fatto impiantare direttamente nel portale sottocutaneo non funziona poi così bene. Dovrei rivedere il modo in cui spendo i miei soldi. Chissà poi se sono io a parlare. Per quel che ne so sto ancora piangendo. Lui continua a guardarmi da dietro il rubino del bicchiere, anche lei ora non parla. Guardo fuori: il buio interstellare mi schiaccia i pensieri.
Gli ultimi lampi in lontananza danzavano portati dal vento e accompagnavano chi ancora di tornare a casa non ne aveva proprio voglia, in quella notte attesa da una vita. Una notte di gioia e mascherine gettate al cielo, di urla e distanziamento dimenticato. Una notte magica per un'intera generazione, attesa da oltre venti anni. Quella notte avevamo ballato al ritmo dei lampi e dei fumogeni e almeno per quelle poche ore avevamo potuto dimenticare le macerie che ci stavano attorno. Mascherine, distanziamento sociale, morti, dolore e lacrime. I cori si erano alzati al di là della paura, i fumogeni avevano illuminato una notte che già da mesi aveva avviluppato piano piano tutto il mondo.
Loro vedono ciò che sto pensando. Vedono le immagini che nella mia mente un poco alla volta si mettono a fuoco. Con questo visore non sono sicuro, ma è come se i miei pensieri venissero proiettati là fuori, nella notte interstellare. Ma se ciò che affiora è soltanto il ricordo di quella notte, deve essere accaduto anche altro se ora sono qua, gli occhi ancora gonfi di lacrime versate e la voce strozzata da un sogno infranto.
Perché non riesco ad accedere alla mia memoria remota? Perché sto cercando con tutto me stesso i files che mi servirebbero per agganciare i miei pensieri alle emozioni ma non li trovo? Il mio hard disk è vuoto. Cancellato. O forse non l'ho mai riempito? Nelle condizioni in cui vivo da alcuni mesi potrei davvero aver confuso i miei sogni con ciò che molti si ostinano a chiamare realtà. Uno stadio vuoto, malattia, partite mai viste, epidemia, speranza, dolore....
- É stato solo nella mia testa, vero?
Finalmente riesco a farla la domanda. E poi di getto anche l'altra, forse la più importante.
- Niente di reale quindi?
Reale. Non faccio in tempo a finire di parlare che subito mi ricordo di non aver mai creduto alla realtà. La realtà non mi ha mai concesso il lusso di emozionarmi davvero. Le emozioni, quelle più sincere, più stordenti, le ho sempre vissute altrove. In quell'altrove che le altre persone non considerano realtà. Il mio altrove lo compro giù nel mercato zonale sud-est, oltre il settore della ristorazione. All'inizio ne compravo poco, un paio di terabytes mi bastava per alcune settimane. Mesi anche, quando ancora mi perdevo negli aperitivi appiccicosi finito il lavoro. Con il passare del tempo ho dovuto comprarne sempre di più, non mi bastavano mai. Spendevo una fortuna. Sino a quando un amico non mi ha consigliato quel mercato, al margine della zona sud-est. Exabyte e zettabyte ad un prezzo onesto dentro i quali poter costruire il mio altrove perfetto, dando sostanza ai miei sogni. Sogni. Forse è questo che stanno cercando di farmi capire. Alla loro maniera, certo, ma sono quasi sicuro che c'è qualcosa che mi è sfuggito. Nel mio altrove l'elettricità di quella notte di gioia e riscatto è durata il tempo di un addio e poco più.
Non c'è più nessuno, adesso.
Non ci sono i lampi, non c'è il temporale che era arrivato a bagnare la vittoria.
Neppure il vento è rimasto a sventolare bandiere sui balconi e a trascinare mascherine abbandonate.
Tutta quella gioia, quella vita impazzita che aveva invaso una città intera non c'è mai stata? È questo ciò che stanno cercando di dirmi? Controllo nervoso ancora una volta il mio hard disk. Non c'è altro. Recupero affannoso la cronologia: 23 febbraio 2020, dopo quella data non c'è nulla. Nessuna finale, nessuna festa, nessuna serie B sofferta. Niente, tutto svanito in un infinito rincorrersi di 1 e 0 come lacrime nella...va bene, ho capito.
- Non può essere vero...io quella notte l'ho vissuta.
- Sì, nella tua mente. Ma non c'è mai stata.
La pioggia adesso è battente, portata dal vento sferza gli alberi nella piazza deserta. Non c'è nessuno, solo macerie e speranze accatastate come rifiuti agli angoli. Soltanto la pioggia è rimasta a riempire la scena. Un drone sta scandagliando la zona attigua al parco, ma tanto nessun ricordo è rimasto abbandonato sulle panchine perché nessuno di quei ricordi è mai stato vissuto da qualcuno. È stata la mia mente a creare un “dopo” a quella data di febbraio del 2020.
- Hanno inventato il tasto Reset per un motivo: concedersi una seconda possibilità.
Alla fine lui si è deciso a parlare. Il suo mantello disegna arazzi leggeri nell'aria decompressa della stanza, mi dà le spalle e guarda dalla finestra il nero dell'immensità interstellare. Meeme sembra sorridermi, ma non ne sono così convinto.
- È ora di brindare alle seconde opportunità.
Mentre parla si volta verso di me e il suo occhio sopra la cicatrice mi scruta, indagatore. Meeme beve tutto d'un fiato il vino nel suo bicchiere, mi guarda, mi sfiora la spalla e si dirige verso la sua arpa.
- Dovrò abbandonare l'Arcadia?
Eccola, finalmente. L'altra domanda che dall'inizio so che prima o poi avrei dovuto fare ma che ho diligentemente ridotto ad icona sulla barra. Questione di coraggio. Mai avuto in abbondanza. Lui beve un sorso di vino e appoggia il bicchiere. Meeme ha iniziato a suonare. Lui si ferma ad ascoltarla, sinceramente rapito. Vedo il suo sorriso mentre la porta della stanza si apre silenziosa.
- Forse solo per il tempo di un addio.
Commenti
Posta un commento