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    Veloci i miei passi mi portano in Freiberger Strasse, poca luce e molta gente. Arriviamo al numero 15: c'è un pub. E basta. Non ci sono insegne luminose nè spente. Non servono: tutti sanno che c'è, che è lì, nel cuore della notte. Lo sanno i pochi abitanti derelitti che ci annegano le loro disperazioni, periferie, distrazioni; e lo sanno pure i tanti turisti-ragazzi normali pieni di soldi che navigano nelle voglie, vie, desideri dell'est del sesso.

    Marianne ha una buffa maglietta questa sera. Lei è buffa. Sto bene con lei, ci conosciamo dai tempi del liceo e dal liceo stiamo insieme. Bevo una birra chiara boema, c'è poca gente nel locale. Ancora per poco.

    Il proprietario-gestore ha detto che è ora. Il repertorio lo conosciamo a memoria. Iniziamo sempre con Your song: è la nostra canzone preferita.

    Il pianoforte è nero, a coda, sporco di cocktail, amore e tutto il resto. Lei canta. Io suono e la guardo, guardo la sua gonna rossa a pallini bianchi, gonna slava.

    Veniamo da là, dall'inferno senza ritorno. O meglio: i nostri genitori sono nativi di Most come quasi tutti gli abitanti di questa zona.

    Il locale ormai è pieno. Ho iniziato i primi accordi di Blue moon, ma tanto nessuno ha ascoltato i brani precedenti.

    Le ore corrono come le mie dita sui tasti bianchi e neri, come i miei occhi scivolano sulle sue spalle. Come la sua voglia di andare via. Questa sera la nostra musica esce dalla spessa cortina di fumo del locale. Siamo due ripetitori di una radio libera, due casse di uno stereo. Due sogni.

    Davanti a noi un turista ha già infilato la lingua nella bocca di una lei. Presto le infilerà qualcos'altro.

    Morta mia madre, mio padre se le portava a casa. Dopo un anno che eravamo arrivati qui: un'altra oasi del partito.

    Io ero in camera mia, alla televisione: primo canale. Facevo fatica a capire tedesco nei programmi. Troppo veloce.

    Mio padre era ingegnere. Al Ginnasio il nostro professore di storia dell'arte era architetto e mi portava a casa sua quasi tutti i giorni, nel freddo di quell'inverno.

     C'è casino, adesso. Abbiamo appena terminato il nostro spettacolo e sono già le 02.00. C'è caldo. Ho voglia di stare con Marianne. Beve una vodka al mandarino e sorride. Sorrido anch'io. Questo è l'ultimo concerto della settimana. Abbiamo i marchi per un weekend lontano da tutto e da tutti. Solo noi.

    Due ragazzi, sicuramente stranieri, ci guardano. Mandano il loro saluto, sguardi libidinosi. Marianne li saluta. Sorridono tra loro. Soddisfatti.

    C'è un gruppo rock sul palco. Il pianoforte a coda nero è sparito. Suonano, male, I don't sleep, I dream.

    Guardo il mio amore. So che vorrebbe andar via. Mi guarda. I due ragazzi ritornano al bancone, ci offriranno da bere. Sperano di avere due pollastre a poco. Non ho voglia di scopare con un uomo, questa notte. Si avvicinano. Vorrei andare via. Marianne mi prende per la nuca e mi bacia. Un mondo solo per noi due, due angeli-sirene, due gocce di pioggia a rigare un passato. Cancellarlo, se possibile.

    Ormai i due ragazzi sono arrivati al nostro tavolo.

    Aspettiamo tranquille, tanto è già venerdì.

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