Savino e la fine della verità


C'era una volta Mike Bongiorno, con i suoi campionissimi. Gli italiani si affollavano davanti allo schermo per vedere all'opera questi fenomeni, i migliori fra i migliori nella conoscenza di un dato argomento. Per anni è andata avanti così: il quiz come metafora eroica, il popolo in estasi per i gladiatori enciclopedici, semidei della tenzone mediatica. 

Poi il quiz è cambiato, e il cambiamento dice molto della società.
I campioni dei quiz non erano più fenomeni straordinari, ma gente comune che riusciva in imprese accessibili. Quello che "vuol esser milionario" potresti essere tu, ci dicevano, proprio tu che guardi mentre affondi la forchetta nella carbonara. La competenza non era più così centrale, l'ammirazione per il "migliore" passava in secondo piano rispetto all'identificazione. L'ascoltatore non era più stupito, ma sedotto.


Con il programma di Savino si raggiunge un nuovo livello: lo spettatore adesso è l'oggetto stesso del quiz. La risposta esatta coincide con l'opinione della maggioranza. La verità - prima riservata al campione, poi resa accessibile dal quiz per normodotati - cede definitivamente il passo all'opinione, ai "gusti degli italiani". Il pubblico prima ammirava l'esperto, poi si identificava con il concorrente, adesso lo giudica. E il metro di giudizio della competenza non è più la conoscenza della verità, ma la capacità di intercettare il consenso.

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